Il Deserto dei tartari by Dino Buzzati

Il Deserto dei tartari by Dino Buzzati

autore:Dino Buzzati [Buzzati, Dino]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2013-07-24T22:00:00+00:00


16.

Sepolto che fu il tenente Angustina, il tempo ricominciò a passare sulla Fortezza, identico a prima.

Il maggiore Ortiz domandava a Drogo: "Da quanto tempo oramai?" Drogo diceva: "Sono qui da quattro anni".

Era venuto improvvisamente l'inverno, lunga stagione. Sarebbe caduta la neve, prima quattro cinque centimetri; poi, dopo una pausa, uno strato più alto, e poi ancora altre volte, pareva impossibile farne un conto, c'era tanto tempo davanti prima che ritornasse la primavera. (Eppure un giorno molto prima del previsto, molto prima, si sentirà dai bordi delle terrazze scrosciare giù rivoli d'acqua e l'inverno sarà inesplicabilmente finito.)

La bara del tenente Angustina, avvolta nella bandiera, giaceva sotto terra in un piccolo recinto a un lato della Fortezza. Sopra c'era una croce di pietra bianca con su scritto il nome. Per il soldato Lazzari, più in là, una croce più piccola di legno.

Disse Ortiz: "Io alle volte penso: noi desideriamo la guerra, aspettiamo l'occasione buona, ce la prendiamo con la sfortuna, perché non succede mai niente. Eppure, ha visto? Angustina…".

"Vuol dire" fece Giovanni Drogo "vuol dire che Angustina non ha avuto bisogno della fortuna? Che lui è stato buono lo stesso?"

"Lui era debole e credo anche fosse malato" disse il maggiore Ortiz. "Stava peggio di tutti noi effettivamente. Lui come noi non ha incontrato il nemico, non c'è stata neanche per lui la guerra. Eppure è morto come in una battaglia. Lo sa, tenente, come è morto?"

Drogo disse: "Sì, c'ero anch'io quando il capitano Monti raccontava".

Era venuto l'inverno e gli stranieri se n'erano andati. I bei stendardi della speranza, dai riflessi forse di sangue, erano lentamente calati e l'animo era di nuovo tranquillo; ma il cielo era rimasto vuoto, inutilmente l'occhio cercava ancora qualche cosa alle estreme frontiere dell'orizzonte.

"Lui ha saputo morire al momento giusto, effettivamente" disse il maggiore Ortiz. "Come se avesse preso una pallottola. Un eroe, c'è poco da dire. Eppure nessuno sparava. Per tutti gli altri che quel giorno erano con lui le probabilità erano identiche, lui non aveva proprio nessun vantaggio, se non forse quello di poter più facilmente morire. Ma in fondo gli altri che hanno fatto? Per gli altri è stata una giornata pressappoco come tutte le altre."

Drogo disse: "Sì, soltanto un poco più fredda".

"Sì, un po' più fredda" fece Ortiz. "Anche lei, tenente, del resto, poteva andare con loro, bastava che l'avesse chiesto."

Sedevano sopra una panca di legno, sulla terrazza sommitale della quarta ridotta. Ortiz era andato a trovare il tenente Drogo ch'era di servizio. Fra i due si formava di giorno in giorno una buona amicizia. Essi sedevano sopra una panca, avvolti nelle mantelle, gli sguardi abbandonati a se stessi, in direzione del nord, dove si accumulavano grandi nubi informi piene di neve. Soffiava di quando in quando il vento settentrionale, gelando addosso i vestiti. Le alte cime rocciose, a destra e a sinistra del valico, si erano fatte nere. Drogo disse: "Io credo che domani nevicherà anche qui alla Fortezza".

"È probabile" rispose il maggiore senza alcun interesse e tacque.

Drogo disse ancora: "Nevicherà. Continuano a passare corvi".



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